Stanchi della solita vita moderna? Volete cambiare ed essere più briosi? Buttatevi senza dubbio sul death metal svedese! Una garanzia! Infatti in questa mia recensione vi parlerò di una band dal nome altisonante: Faustus. Svedesi di Bollnas, ridente cittadina a sud dello stato scandinavo. Il loro secondo full-length è composto da undici tracce per una durata di circa quarantasette minuti, che si preannuncia come una legnata senza paragoni: si inizia a picchiare con “Deprived of liberty”. Riff di chitarra poderoso e batteria super spinta, la voce è rabbiosa quanto basta ed anche se i ritmi iniziali non sono esagerati, il brano si impenna abbastanza in fretta ed ha un ottimo groove che manderà in visibilio qualsiasi amante del metal estremo.

“Psychogenic” è la seconda traccia, la quale inizia in modo traumatico con un ritmo spaccaossa. il buon Ludvig Setterlind è davvero incazzato nero è si sente da come ringhia dietro il microfono, il basso è sempre in tensione e pesta deciso. I ritmi paiono rallentare sul minuto e trenta, poi la batteria e la chitarra recuperano il vecchio rancore ed il brano si alza di quota. Interessante il solo di chitarra sui due minuti e mezzo, il pezzo è dritto e quadrato fino alla fine.

“Anhedonia” è la terza traccia, parte subito cattiva, la batteria ha un mood particolare che entra in testa, ma in generale tutto il brano è un concentrato d’astio e rabbia e le chitarre saettano come fulmini ed il basso accompagna la decadenza tappando tutti i buchi del tessuto sonoro. Comincio ad affezionarmi a questi simpatici svedesi. Il disco prosegue con “Existence, Death”, che parte con un giro di chitarra vorticoso e una batteria devastante. La voce è, manco a dirlo, prepotente, si sente anche qualche screziatura modern-metal, soprattutto per quel che riguarda il comparto strumentale, smussando un po’ le asperità di un brano altrimenti pesantissimo, che diventa così pregevole ed originale. E’ il turno di “The Creation of what’s called Hell”.

Di questa traccia è stato estrapolato il terzo singolo del disco in recensione. I ritmi sono subito altissimi e nonostante si parli di death metal di stampo “classico” ci troviamo di fronte ad un pezzo davvero ben congegnato, con cambi di tempo interessanti ed architetture sonore non comuni in questo tipo di genere musicale. Sui tre minuti tutto si placa e la batteria di lascia andare ad un tamburellare inquietante accompagnato da un noise di chitarra, poi solo quest’ultima in un arpeggio poco rassicurane. Il brano poi detona nelle casse. Avanti con la successiva “Architect of Ruin”, anche di questo brano è stato fatto un singolo, il secondo del disco. Batteria sugli scudi e chitarra chirurgica, del pezzo si sente subito la pesantezza e la voglia di fare male, sui due minuti un bel solo di chitarra a tagliare il muro sonoro. Si può notare anche qui qualche “passaggio“ tipico del modern-metal che non fa altro che svecchiare il brano rendendolo più fruibile ed un po’ più chatcy.

Di Sleep, la settima traccia, è stato fatto un bel video visibile sul tubo, i ritmi sono prepotenti ed il riff di chitarra è davvero interessante, anche il solo di batteria iniziale fa saltare dalla sedia. Non si può non apprezzare un brano sanguigno come questo, che risulta all’ascolto una mazzata senza se e senza ma, tutto tarato per distruggere i padiglioni auricolari. Un brano che deve essere ascoltato al massimo volume…Ed allora sì che la vicina di casa si incazzerà come una vipera….ma tu, simpatico lettore, lo apprezzerai a fondo e saprai cosa vuol dire potenza. Ma non badiamo alle ciance e proseguiamo con “Tempus”, ottava traccia, e sono mazzate. La batteria è grossa, i ritmi sono incalzanti e la voce e astiosa come sempre, il modus operandi è sempre fondato sul death-metal ma qui di toccano delle aree decisamente più melodiche e il disco ne giova, diventando meno claustrofobico. “Obscurity” si apre con una chitarra rovente e poi la batteria che diventa un cannone, i ritmi non esasperati ma belli rotondi, il riff della chitarra è davvero ben fatto ed è quasi mantrico, man mano che procede la traccia diventa sempre più cattiva, assumendo i connotati di un piccolo gioiello.

“From the Beginning to the End” è la penultima traccia e cambia in corsa lo stile fin qui proposto; è tutto meno incazzato, molto più melodico. Sia la chitarra che la batteria sono più accoglienti, ma Ludvig non si rassegna e ringhia Un brano piuttosto lungo, quasi sei minuti, ma di una bellezza ed un gusto sconcertante, anche il ritornello ha un appeal incredibile, si sente la passione e la dedizione, la rabbia e la disperazione. Ha vinto, lui, è il mio pezzo preferito… Ultima traccia dal titolo “XI”, arpeggio di chitarra delicato, sottile e fino alla fine. Considerazioni Finali: Devastante, cattivo, potente, e tutto quello che ci vuoi mettere, non conoscevo questi ragazzi svedesi, me ne pento.

Qui i Faustus, con la loro perizia tecnica e compositiva, tracciano le linee guida di un movimento death-metal che cerca di levarsi di dosso quegli stereotipi comuni dove il disco death deve essere per forza una mazzata incommensurabile, senza un minimo di capo ne coda. Qui vince l’originalità, la voglia di evolversi e di creare qualcosa di fresco, più nuovo, ed i Faustus ci riescono alla grande, spaccando comunque i denti.Un disco da comprare e da ascoltare, per tutti gli amanti del metal estremo, ed anche per quelli che si vogliono avvicinare in un modo grandioso.

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IGOR GAZZA

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