Letatlin, cercavamo immagini che racchiudessero le varie storie del disco

Letatlin nasce a Roma alla fine degli anni 90 dalla collaborazione di Marc Mal de Vivre e Hans Plasma a cui si uniscono presto Orsonero al basso e MF alla batteria.
I primi tre demo “Tatlin”, “Fossili di Piccolo Calibro” e “Detriti” hanno un’impronta post-rock/noise. Nel 2002 la band autoproduce il primo album “Missili sul Giappone” che riceve ottime critiche da parte del pubblico e della stampa underground. Nel 2003 è la volta del mini album “1919: naissance du robot” cruciale per l’evoluzione tecnica e creativa: per la prima volta Letatlin (ridotto a chitarre basso e voce) fa uso di drum-machines, sintetizzatori e samples. Il sound inizia ad evolversi verso una personale versione di post-punk.
“1919: naissance du robot” riceve ottime critiche ed il gruppo è contattato dalla neonata etichetta indipendente Ark Records per la realizzazione del primo album ufficiale “La Sepoltura delle Farfalle”.
Il disco viene interamente registrato e prodotto dai Letatlin, stampato dalla Ark Records e
distribuito da Masterpiece. L’album pubblicato nel 2006, riceve ottime recensioni in Inghilterra, Germania, Olanda, Polonia, Spagna, Stati Uniti, Francia ed ovviamente in Italia. Il giornalista inglese Mick Mercer inserisce la band nel libro “Music to Die For” (pubblicato dalla Cherry Red Books, 2009).
Nel frattempo Marc Mal de Vivre e Hans Plasma si trasferiscono ad Amsterdam portando avanti il progetto Letatlin con concerti e l’uscita di numerosi singoli.
Nel 2012 Hans e Marc iniziano a registrare il materiale per il nuovo album “Natsuko: the 11th story”. Esso viene prodotto e mixato assieme a Idan K (Sophya) presso lo studio “Out Of Print” di Amsterdam e stampato nel 2014 in numero limitato di 400 copie ecopack.
Nel 2016-17 Letatlin registra il quarto album “Reaching for the Moonlight” disponibile al momento solo in formato digitale. Tra il 2018 e il 2021 i Letatlin compongono il quinto album “seaside” missato a Roma.

UGZ: Di tutti i brani che avete pubblicato, c’è una traccia a cui tenete particolarmente?
Hans:
seaside non mi stufa ancora. Forse perché è stata risolta proprio alla fine del disco in fase di mastering con l’innesto del testo. Doveva essere strumentale. Poi ci siamo detti che forse bisognava tentare un testo che è “uscito” a mio avviso molto in fretta e bene. È avventuroso e “marino” mentre il sound è tra surf ed elettronica.
Marc: la mouche per la leggerezza del suo essere come canzone. The return of the Yeti perché riesce a dare il senso di “desert rock” miscelato con dello psychobilly che ci eravamo prefissati.

UGZ: Parlateci della copertina!
Hans:
Cercavamo immagini che racchiudessero le varie storie del disco. L’idea era quella di usare collages creati ad hoc usando immagini di Albertus Seba contenute nel suo “Cabinet of Natural Curiosities” e renderle ancora più sconvolgenti di ciò che già sono. Ma alla fine abbiamo pulito molto ed è uscito fuori qualcosa di molto semplice, quasi giapponese nell’attitudine.

UGZ: Siete mai stati presi dallo sconforto a tal punto di voler smettere?
Hans:
No.

UGZ: Artisticamente parlando, rifareste tutto oppure avete dei rimpianti?
Hans:
Rifaremmo tutto allo stesso modo.

UGZ: Scegliete un musicista di rilievo che avreste voluto nel vostro album
(Hans):
il percussionista/inventore N.U. Unruh, degli Einsturzende Neubauten
(Marc): indifferentemente Steve Brown o Blaine Reininger dei Tuxedomoon

UGZ:. Potrebbe sembrare una domanda banale o magari lo è: Dove sta andando la musica? E dove sta andando la vostra musica?
Hans:
Il mondo di internet ovvero il file digitale o i social media hanno fatto saltare una maniera di vivere la musica che era fatta essenzialmente di concerti – acquisto disco – conseguente ascolto integrale del disco. Oggi questa esperienza (ascoltare un LP intero) sembra essere “troppo”: ci sono le playlist dove ascolti uno massimo due brani dello stesso artista. D’altro canto però la “scelta” che ha un ascoltatore di musica underground o non è senza precedenti. Ciò nonostante ci domandiamo chi riesca ad apprezzare fino in fondo tutte quelle band di cui conosce spesso non più di qualche brano… forse si perde qualcosa? Una band è tale perché’ ha probabilmente svariati dischi, periodi, evoluzioni, cadute …cambia insomma. Anche un singolo album – sia esso un concept o no – ha un filo conduttore magari solo sonoro che andrebbe seguito dall’inizio alla fine. Quante volte abbiamo sentito la frase: “…l’album ti cresce dentro dopo svariati ascolti…”. Si può contestare che negli anni cinquanta sessanta c’erano principalmente singoli, ma i pochi quarantacinque giri che si possedevano si consumavano a forza di riascoltarli. Non vogliamo sembrare retrò, semplicemente ci domandiamo se a fronte di un aumentata quantità di musica disponibile non ci sia stato un calo di attenzione.
Per quanto riguarda dove sta andando la nostra musica…non lo sappiamo con certezza. Ri-ascoltando gli ultimi 2 dischi notiamo il nostro bisogno di usare anche sonorità meno sperimentali, o se vuoi input e spunti armonici presi senza vergogna dagli anni 60/70.

UGZ: C’è differenza tra ciò che ascoltate e ciò che in realtà suonate?
Hans:
Si certo. Capire e apprezzare un musicista e la sua musica è differente rispetto saper suonare e voler suonare quel tipo di musica.

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