“Nel furto è la speranza” è il nuovo singolo di Schiamazzi, un grido di speranza che arriva dall’oscuro

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“Nel furto è la speranza” è il nuovo singolo del cantautore Schiamazzi. Dopo i singoli “Félicette” e “Distruzione di Marta” Schiamazzi con “Nel furto è la speranza” porta verso la superficie un grido di speranza che arriva dall’oscuro. “Nel furto è la speranza” annuncia l’EP omonimo di Schiamazzi in uscita il 5 novembre.
“Sdraiato nel suo letto, con un senso di peso opprimente sul petto, un uomo ascolta alla radio la notizia che preannuncia il suo imminente arresto. La fine di una corsa durata anni, anni trascorsi tra furti e rapine, un epilogo inevitabile, che conosce da tempo, ma che allo stesso tempo sembrava non arrivare mai, rimandato chissà quante volte.
Il ritornello suona come una preghiera, o almeno vorrebbe esserlo. Una preghiera rivolta ad una divinità indifferente in grado di svuotare le galere che gli uomini si affannano senza sosta a riempire. Una confessione senza pentimento, che mostra il proprio dolore solo nel canto lirico.
Chiuso in questo limbo, colpevolizzato dalla società e costretto ai margini, l’uomo decide infine di costituirsi, stanco e senza più risorse.
L’ultima strofa risuona lontana dalla cella di un carcere di chissà quale umida città. Sotto un cielo vagamente stellato torna il ricordo di quelle parole che tante volte ha sentito pronunciare da una bocca amata. Quelle parole danno il titolo a questa canzone: nel furto è la speranza.
“Nel furto è la speranza” è la metafora di un uomo che ha trascorso la sua esistenza cercando di migliorare la propria situazione, e dopo una vita spesa nella speranza di poter cambiare la condizione a cui si è sentito predestinato, finisce i suoi giorni in una cella, riflettendo sul senso di quelle parole che lo avevano accompagnato per così tanto tempo.
Anche nelle azioni più aggressive è nascosto un oscuro fondo di speranza.
Non è il furto di chi già possiede tanto ma desidera avere ancora e ancora, senza riuscire mai a fermarsi. E’ un furto figlio della disperazione, di chi non ha ricevuto ciò che sperava o si aspettava dalla vita.
Per lo psicoanalista Winnicott, il bambino che non ha nulla, il bambino deprivato, inizia a rubare quando incomincia a sperare, quando le sue condizioni di vita stanno cambiando e capisce che può farcela. «E’ nel periodo della speranza che il bambino manifesta la tendenza antisociale».”

Il videoclip di “Nel furto è la speranza” nasce dalla collaborazione tra Schiamazzi, le illustrazioni di Francesca Smith e lo studio di videomaking Homeward Laboratories.
A metà strada tra lyrics video, animazione e visual, l’intento di questo lavoro è aggiungere, in un processo di stratificazione, livelli di interpretazione e chiavi di lettura diverse al brano.
Le immagini seguono un percorso inverso rispetto alla trama su cui si snoda la canzone. Se da una parte il testo ci mette di fronte, strofa dopo strofa, alla carcerazione del protagonista che viene condotto in una cella fatta di muri fisici, a livello visivo le immagini rappresentano tutt’altro. Gli ultimi istanti di libertà del soggetto vengono raccontati mentre le immagini mostrano una cornice che impedisce ad un’ombra di espandersi, una cornice immutata e statica, metafora della prigione mentale entro cui vengono limitati i pensieri e le possibilità. La vera protagonista di questo video, l’ombra, è invece trasfigurata, diviene grottesca e mostruosa, perde e riacquista i suoi connotati con rapidità, impedendo un reale riconoscimento.
La scelta delle ombre come attori di scena è duplice: da una parte vi è la ricerca di una tela che metta in comunicazione il mondo reale con l’animazione, un immaginario 2D in un mondo pluridimensionale; dall’altra c’è la volontà di giocare con l’identità, o meglio con l’anonimato, ostacolare l’identificazione o permetterla, a seconda dell’istante narrativo.
La seconda parte del video gioca sul contrasto tra l’ormai definitiva prigionia del protagonista e le immagini esterne: la scarcerazione dell’ombra, ora libera di espandersi ed acquisire una propria identità, indipendentemente dalla fisicità e dal luogo (che sia l’asfalto polveroso o il mare di un porto), apre una seconda chiave di interpretazione antitetica rispetto al testo, lasciando all’ascoltatore la piena libertà, o più semplicemente il dubbio.

Bio:

Schiamazzi è un cantautore genovese ma anche un medico psichiatra e, forse, è proprio questo che lo ha spinto a fare musica.
Nelle sue canzoni le sonorità acustiche e i testi prettamente cantautorali si contaminano a seconda delle collaborazioni che gravitano attorno allo studio Homeward Laboratories, prima tra tutte quella con la cantate lirica Francesca Benitez.
Nei suoi pezzi parla delle persone che incontra e delle storie che gli vengono raccontate, ma anche di sé, della sua famiglia e delle persone che ama, in un continuum che si mescola e si confonde. Il tutto protetto da una maschera, con tanto di piume annesse. Infondo sono solo schiamazzi.
La scelta dell’anonimato e la maschera che indossa separano il medico dal cantautore ma soprattutto lo traghettano tra le sue identità, uno switch che gli permette di avere maggiore libertà espressiva e dare spazio a tutte le parti di sé, eliminando i limiti imposti e aprendo nuove prospettive.
I versi delle canzoni si inseguono come fotografie che non hanno bisogno di verbi. La luce è quella artificiale dei lampioni, quella delle lampade che oscillano sospese sui vicoli di Genova. Le facce non sono perfette, i lineamenti a volte fanno paura.
Il suo modo di trattare il disagio psichico è lontano dai freakshow e dalla spettacolarizzazione che spesso l’arte riserva a questo tema, è asciutto e realistico, presentandolo come qualcosa di incredibilmente quotidiano e comune.
Nelle storie di Schiamazzi i riferimenti temporali si perdono, come in quei sogni che non sapresti dire se siano durati 5 minuti o tutta la notte.

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